Thoughts on Milano Fashion Week ss24
La Milano fashion week è terminata da tempo ma sembra quasi non esserci stata…
Chiacchierando con un tassista, mentre il sole di Milano mi illuminava il viso, ho sfortunatamente scoperto quanto la città, durante la festa della moda per eccellenza, sia cambiata. “Non è più come una volta, è già da due anni che la città sembra spenta,annoiata; prima della pandemia, durante le fashion week, Milano sembrava un sfilata all’aperto, chiunque poteva incontrare top model, celebrities, attori e attrici. C’era un gran baccano in giro, la città aveva voglia di "festeggiare la moda.”
E oggi? Vivendo a Milano, ho avuto modo di camminare per le strade della metropoli e ho ascoltato il silenzio assordante che proveniva dai quartieri più chiassosi della città. Mi sono chiesta cosa fosse successo a Milano, ma soprattutto cos’è successo alla moda. Dal 16 al 20 giugno hanno sfilato Zegna, Magliano, Prada, Valentino, Etro, Missoni e tanti altri che hanno proposto una propria visione della moda e del suo sistema.
Ultimamente, il sistema della moda mi ricorda la trama di The Idol, serie prodotta da Sam Levinson in collaborazione con l’artista The Weeknd; è una storia distorta, ricca di silenzi densi quasi tangibili, non ci sono buoni e cattivi, ma il protagonista principale è il successo. Alcuni brand, come Magliano, Valentino e Federico Cina, hanno voluto raccontare una storia che resti nel tempo, avendo il coraggio di utilizzare il presente come un trampolino per il futuro e non come un mero carpe diem per svelarci storie prive di una ragion d'essere.
Magliano, vincitore del Karl Lagerfeld Prize, ha sfilato a Palazzo del Ghiaccio, opera architettonica enorme e stilisticamente asettica, resa un’area quasi urbana dalla scenografia di sbarramenti da lavori stradali. Qui la rivoluzione ha avuto inizio e Magliano, non piegandosi ad un sistema contorto e invalidante, ha raccontato una verità che pochi avrebbero avuto il coraggio di raccontare dopo l’enorme pressione mediatica dovuta alla sua recente vittoria. “Il nostro brand è sempre stato una sorta di progetto 'citazionista', nel senso che è stato generato nella mia città natale ed è profondamente impregnato della sua cultura underground e della mia esperienza personale”, così Magliano con la sua “couture povera” ci restituisce ossigeno dopo mesi di apnea per recuperare un presente vero, reale, libero da ogni forma di ipocrisia e cosciente del fatto che l’artigianato e l’autenticità nel processo artistico e creativo siano ciò che realmente ha importanza oggi.
Valentino, invece, ha portato la sua rivoluzione ad un altro livello, riservandoci un posto a sedere nell’Università Statale di Milano. Piccioli, rimembrandoci quanto sia necessario iniziare le proprie battaglie a partire dall’interno, ci lascia senza parole e ,nel cuore del futuro della città di Milano, fa parlare i propri abiti, riprendendo varie citazioni della scrittrice e giornalista statunitense Hanya Yanagihara. Lo Screen Print Suit, elemento già utilizzato da designer come Abloh, Margiela e Yamamoto, ha permesso di parlare alle nuove generazioni, dando un messaggio chiaro che sottolinea quanto sia necessario superare i muri altissimi dei dogmi del passato, utilizzando cioè che di buono rimane per costruire qualcosa di nuovo, vero ed essenziale.
Federico Cina, classe ’94, nato in Emilia-Romagna, ci riporta nella tua terra d’origine. Così come Magliano, anche Cina è ritornato a casa, accompagnandoci nel suo viaggio di ritorno in patria. Nel suo ricordo rivediamo le alluvioni che hanno distrutto la sua terra, sfumature di beige e marroni e la dolcezza con cui gli abiti sono stati cuciti. Cina ci insegna che dal passato possiamo imparare grandi cose, che non tutto è perduto e che, nonostante le nostre giacche siano rovinate, i filati siano stati stressati e scomposti, dietro vi è una storia e un dolore che riecheggiano un passato, maestro del nostro presente e consigliere fidato per il nostro futuro.