Vincenzo Schioppa racconta NSS - da Napule a Milan

Vincenzo Schioppa racconta NSS - da Napule a Milan

Una “chiacchiera” con Vincenzo Schioppa, Co-Founder e CCO di NSS, factory e magazine che da  anni ci guida nelle tendenze street style. Punto.

Dieci anni dopo lo definisce ancora “questo sito”, con l’umiltà di chi forse realizza ancora poco la grandezza di ciò che è stato creato e la consapevolezza di chi conosce il mondo abbasta bene da sapere che correre è un gioco di allenamento, resistenza e dedizione continuo.

Forse banale ma essenziale. Qual è il vero inizio di NSS? Il gioco di squadra che dà vita a Napoli Street Style.

In realtà il vero inizio di NSS è abbastanza semplice. Premessa: siamo a Napoli, 2008, la città versa in una situazione politica e sociale incrinata che la faceva apparire come una città brutta, degradata, quando invece fondamentalmente, come potrai notare, c'era e c’è dell’altro. Io poi ero affascinato dalla spontaneità e libertà con cui la gente si vestiva.

Detto ciò, durante un viaggio a Stoccolma, ho visto delle persone che scattavano altre persone per strada per il loro outfit, e ho scoperto che si trattava di un sito, “Stockholm street style”. Guidato dalla mia passione per l’abbigliamento, venne voglia anche a me di scendere per strada, immortalare i passanti, capire cosa indossassero.

Vecchie conoscenze e interessi comuni diedero vita al trio composto da Simon, webmaster; Walter, a curare l'aspetto moda e commerciale del sito, e me, per il lato creativo. All'inizio non fu semplice perché la gente  ci rideva dietro, diceva “che fanno quelli per strada?” - alla fine stavamo a Napoli. Non ci fermammo ma, anzi, decidemmo di salire a Milano per le prime Fashion Week. Eravamo i primi a fare foto per strada durante gli eventi e il nostro sito ebbe un boom perché automaticamente archiviavamo foto e foto di outfit, creavamo un'analisi di mercato, un vero e proprio catalogo. Creavamo quella che,  per le aziende, si chiama la ricerca, il cool hunting.

Di lì a un anno, ci iniziarono a chiamare le prime le prime aziende per fare scatti street style e mano a mano ci inserimmo un po' nel contesto milanese, guidati dalla nostra estetica.

Poi, mattone dopo mattone, è una storia che continua ancora.

Nel tempo si è creata sempre di più una brand identity molto specifica. Cosa porti da Napoli e quali sono invece le influenze di Milano?

Sicuramente la brand idendity viene da Napoli: se ci fai caso proprio nel logo NSS appaiono sia il mare che il Vesuvio, allo stesso tempo però anche il Biscione di Milano. È tutto molto fluido e fluid è una parola che penso faccia per noi: siamo un'agenzia ibrida, persone a cui se un giorno va di fare una cosa, la fanno, anche perché siamo indipendenti, e lo siamo da dieci anni. La nostra brand identity in fin dei conti è il ricordare le nostre radici, guardare al presente e immaginare il futuro.

Come dicevi NSS ha compiuto da poco di dieci anni, vi sareste mai aspettati di creare quello che è oggi e che voi descrivete come un “ecosistema digitale”?

All’inizio, ti devo dire la verità, no, perché volevo fare altro. Tutti noi in realtà: Walter è ingegnere aerospaziale, Simon invece lavorava in agenzia.

Non avrei pensato che saremmo rimasti insieme dieci anni, abbiamo tre caratteri diversi, siamo tre persone molto diverse. Ovviamente ci sono stati vari momenti traballanti tra di noi, li abbiamo superati e da lì in poi è stato tutto un rotolare abbastanza naturale. Fondamentalmente ci ha legato la passione, il lavoro, ci ha legato la consapevolezza che questa cosa poteva andare avanti.

E cosa credi vi caratterizzi rispetto ad altre realtà simili?

Il nostro potenziale? Secondo me è quello di avere un media interno: NSS non è soltanto un magazine, negli anni è diventato un'agenzia, l'azienda si è “scissa” in due.

Un lato media tramite cui ogni giorno pubblichiamo contenuti inediti, di moda ma anche di società e cultura, senza alcun paletto; e dall'altra parte, il lato della della factory, chiaramente ispirata alla factory di Andy Warhol (sono un amante di tutto il mondo pop newyorkese). Inoltre mi piace circondarmi di persone creative, per darsi una mano a vicenda: non mi ritengo il capo-padrone, anzi, i progetti si creano insieme, in sinergia. Rispetto alle altre agenzie di Milano, comunichiamo attraverso NSS magazine il nostro gusto, il nostro stile, gli aggiornamenti e, viceversa, il nostro magazine ha alle spalle NSS factory. Una dualità creata da Walter e me e di cui Simon ha fatto da collante via web.

Oggi poi ci stiamo sicuramente strutturando un po' di più, c’è una persona che si dedica agli eventi, una alla strategia, una alla produzione e via dicendo.  

Secondo me il nostro vantaggio è la dualità che permette di non appoggiarci ad altri.

Il 21 ottobre avete pubblicato un articolo sulla de-streetwearizzazione della moda secondo Kim Jones. Qual è, se esiste, la de-streetwearizzazione della moda secondo voi?

Per dare una risposta strutturata servirebbe molto tempo. C’è stato un momento in cui siamo stati tutti quanti ammaliati dello street attraverso il parallelo sneakers.

Poi è arrivato un grande Creative Director, che si chiama Virgil Abloh, che ha portato tutte le radici dello streetwear nel mondo del lusso; anche se lui stesso dichiarò che lo streetwear era morto. Per me sì, c’è stata una sorta di de-streetwearizzazione però il mondo street non lo si può dichiarare né vivo né morto: sta sempre là.

Ci siamo banalmente annoiati di sneakers, tute e quant’altro e stiamo un po' più riprendendo gusto nel trovare, come dire, il pezzo vintage nel negozio local, ripreso dal passato. Poi lo streetwear, secondo me, è un DNA: un modo di vivere e di pensare, non per forza solo di vestire. E Virgil ha dimostrato anche questo: ha innestato un brand di lusso tale per cui gente che non si era mai vestita street comprava delle cose ispirate a quel mondo.

Avete fatto diverse collab, soprattutto recentemente per le t-shirt per il compleanno, sia qui a Milano che a Napoli, esiste un brand in cui vi riconoscete particolarmente o  no?

Se ti devo dire “esiste e accomuna tutti”, no.

Posso dire i miei e sono brand street, quelli con cui sono nato: Carhartt, Stussy e Supreme. Anche se quest’ultimo negli ultimi anni è diventato, come ti dicevo, un po' troppo mainstream.

Per Walter, sono sicuramente quelli del mondo giapponese. Simon è un po’ più vicino a me, forse lui un po' più mondo street, street, street.

Io guardo tanto gli americani come Awake, persone in passato legate al mondo Supreme, che poi hanno creato dei propri brand. Mi piace tanto Hiroshi Fujiwara e sono malato di Stone Island, per i tecnicismi dei loro capi, anche se negli ultimi anni non esiste più il capo Made in Italy come prima.

C'è stato un momento preciso in cui hai avete pensato “Ok, ce l'abbiamo fatta”? O è sempre stato tutto un divenire?

Questa domanda è molto difficile: ci sono momenti, ogni anno, in cui dico “abbiamo fatto un buon lavoro” però poi finisco sempre con “vorrei fare di più, vorrei fare di meglio.”, Walter dice sempre che possiamo fare di meglio, mentre Simon è molto mite e non ci pensa. Ad ogni modo dire “ce l'abbiamo fatta” no: significherebbe, sederci, adagiarci e noi non siamo proprio quello.

Di base tra dove siamo partiti e adesso ti dico che “abbiamo fatto”: veniamo tutti quanti da famiglie normalissime, nessuno ci ha mai dato niente: nessuno, e proprio niente. Abbiamo sempre investito tutto quello che guadagnavamo per assumere persone o comprare cose che potessero aiutarci o abbellire uno spazio che ancora cresce.

Non ci accontenteremo finché il nostro corpo reggerà, perché c'è tanto altro ancora. Poi il mondo è molto veloce, cambia: anni fa c’era Facebook, poi Instagram e oggi TikTok - una piattaforma che io odio e amo. Anni fa il boom dei siti web da creare, oggi il boom delle App…bisogna stare sempre al passo. Facciamo media: dobbiamo lasciare una traccia in quest’epoca, in questo modo.

Non puoi dire “sono arrivato”: è una partita troppo lunga.

NSS appare proprio come una famiglia. Tu la descriveresti così?

Purtroppo sì, ti dico “purtroppo” perché vedere tutti i giorni, per otto ore, i ragazzi dell'ufficio è bello quanto pesante, a volte penso ci vorrebbe uno psicologo interno. Gestire determinati momenti, non far trapelare nervosismi e preoccupazioni per dare sempre il buon segnale è difficile.

Se entri in NSS oggi non devi pensare solo al progetto X, ma ragionare come una famiglia di 46 persone. La cosa che io subisco di più, essendo creativo, ad esempio, è il dover creare dei progetti sempre belli quando il budget dei clienti a volte è basso, e si fa per dire, perché si parla di budget che comunque sono stratosferici rispetto a una persona che fa un lavoro normale, però le pretese sono alte.

Poi chiaramente stare in armonia è una bella sfida, a tratti divertente.

Ultima domanda: una parola per descrivere NSS?

Certamente la parola migliore è “ibrida”.

Ibrida perché abbiamo sempre parlato di street e moda; tanto offline quanto online. Affrontiamo aspetti sociali a trecentosessanta gradi: siamo molto aperti, a noi è sempre piaciuto, anche ai nostri eventi, riunire “ricco e povero”, intendendo sia persone che materiali. La cosa che mi fa esaltare è vedere in una stanza, per dire, il ragazzo della la drogheria X con il designer X  del brand di moda che si parlano e si piacciono: creare questi innesti che comunque sono parte della mia città, Napoli. Io vivevo, in un quartiere dove in un passo arrivi in una parte ricca e noti la differenza tra ricchezza e povertà. Una dualità, dove tutto è interessante allo stesso modo. È il nostro DNA che è sempre messo al cospetto dei progetti e all'interno del magazine. La chiave di volta per la differenza sta nel suscitare reazioni come “Wow, che hanno fatto? Ci potevo pensare anch’io”.

Il tocco di genialità: un po' come Virgil (a cui non mi voglio paragonare) che vedeva con occhi diversi cose povere, come una targa sul muro che reinventava e metteva su una borsa da cinquemila euro. E sì, ne ha vendute x milioni.

Non mi voglio accostare a lui, però di base è quell’ ibrido là.

Finisce l’intervista, Vincenzo mi guarda “Sei felice? e lì comprendo che si imparano tante cose al mondo, ma la vita non si impara, la si costruisce con la cazzima giorno per giorno, se poi ti chiami Vincenzo Schioppa parti dal niente, e la condisci con qualche “per dire” in più. E scritta così quasi sembra facile.

“Felicissima."