Conversations with friends - Chapter 10: Erica Cariello of Ease

Conversations with friends - Chapter 10: Erica Cariello of Ease

Erica Cariello è una Creative Strategist indipendente, Milanese ma basata a Levanto, alle porte delle Cinque Terre. E’ anche la founder di Ease – una community che riconnette le persone al benessere grazie a ritiri residenziali, classi e workshop. 

Ho conosciuto Erica grazie all’algoritmo di Instagram: sono finita per caso sulla pagina di Ease e, incuriosita, ho iniziato a praticare Yoga con lei. 

È stata una scoperta meravigliosa: seguire le lezioni di Erica è stato come sentire una carezza uscire dallo schermo, percependo tutta la dolcezza e delicatezza che trasmette attraverso le sue pratiche e le sue parole. Le sue lezioni sono diventate il luogo dove riconnettermi con me stessa e scoprire, attraverso piccole pillole all’inizio di ogni pratica, che cosa significa integrare gli insegnamenti dello yoga nella nostra quotidianità. 

Curiosa di sapere ancora di più sulla filosofia che sta alla base di questa antichissima pratica e del perché Erica abbia deciso di farne una parte fondamentale della sua vita, ho deciso di scriverle e da una chiacchierata in una mattina soleggiata d’estate ho scoperto un mondo che andava ben oltre le mie domande. Sono sicura che le sue risposte affascineranno anche voi! 

 

Ciao Erica! Che cosa rappresenta per te lo yoga? 

Per me lo yoga è uno degli strumenti di ricerca personale, che, insieme ad altri, mi ha guidato in momenti difficili. Scoprire lo Yoga è stato un percorso, che per me è passato dalla sperimentazione di stili dinamici ad una pratica sempre più essenziale: un approccio che oggi si basa sull’ascolto mirato, sul respiro e sulla meditazione. Essenzialità, che non significa mancanza di complessità. 

Ho iniziato a praticare yoga quando avevo circa vent’anni. Venivo dal mondo della danza e, proprio grazie a questa, mi ero approcciata alle prime asana, che le insegnanti integravano nel riscaldamento. A livello fisico è stato facile iniziare a praticare, grazie alla flessibilità che avevo acquisito ballando. Negli anni, però, ho capito che la pratica non passa solo attraverso l’esercizio fisico. Certo, quello della disciplina fisica è uno step importantissimo e il primo attraverso il quale ci approcciamo allo yoga, scoprendo proprio quel tapas che ci porta sul tappetino a praticare. Il corpo è lo strumento attraverso il quale ci offriamo con devozione alla pratica. Ma lo yoga è anche osservazione della mente, nella misura in cui ci offre l’opportunità di ascolto che non sempre abbiamo nella vita quotidiana. Così, durante e attraverso la pratica, corpo e mente non sono mai slegati: la respirazione fa da ponte fra questi, aiutandoci ad equilibrare le energie del corpo ed insegnandoci a stare nel qui ed ora, riconnettendo interno ed esterno, macro e micro. 

Qual è stato il percorso che ti ha portato all’insegnamento? 

Il mio lavoro, prima di questo, era di tutt’altro tipo. Ho lavorato per molti anni per una nota Media Company, occupandomi di digitale e progetti legati al settore moda e beauty. E’ stato proprio durante questi anni frenetici e turbolenti che mi sono affidata allo Yoga come strumento di ricerca. I miei ritmi - tra il lavoro e la vita privata - erano diventati talmente frenetici che il mio corpo mi ha dato dei chiari segnali per rallentare. Un forte burnout ha bussato alla mia porta e ho realizzato che se non avessi cambiato il mio stile di vita non sarei riuscita a recuperare il mio benessere. Così ho lasciato il mio lavoro, ho intrapreso un viaggio zaino in spalla di quattro mesi in America Latina e una volta tornata a Milano ho continuato ad occuparmi di copywriting e creative strategies come freelance (potete trovare il portfolio di Erica su: https://ericacariello.com/, ndr). 

Come spesso accade, è quando prendi decisioni importanti e indirizzi la tua direzione che quello che sembrano delle pure casualità sono, in realtà, dei segnali che sei sulla strada giusta. E infatti dopo aver cambiato il mio stile di vita mi si è presentata l’occasione di partecipare ad un teacher training in Hatha Yoga a Bologna, seguendo il lignaggio di un autentico insegnante himalayano – opportunità che ho preso non per cambiare carriera ma per approfondire la ricerca che seguivo ormai da anni. È solo dopo aver guidato la mia prima lezione ad un gruppo, ciò che ho realizzato è che potevo davvero fare del bene agli altri. È stata una rivelazione. 

Qualche tempo fa hai condiviso sulle tue stories un post che dice: “Yoga is a practice, not a performance. It’s not about the way it looks, it’s about the way it feels”. Perché? 

Guardandomi intorno, ho l’impressione che la nostra società stia diventando sempre più performativa e questa spinta si stia ampliando anche l’ambito del benessere. Quella che inizialmente era una nuova ondata di auto-consapevolezza rispetto all’importanza della salute fisica e mentale, di prendersi cura di sé e rallentare rispetto ai ritmi sempre più serrati, è diventata allo stesso modo un’occasione di ostentazione. E’ una visione che, a mio avviso, può far sentire molti esclusi. Il mondo del well-being (tra cui anche quello dello Yoga) sta diventando sempre più performativo e sembra esserci sempre più la tendenza a dare la precedenza al dover dimostrare (quel completino perfetto per praticare, quel matcha instagrammabile, quelle asana super complesse). Lo Yoga è certo anche disciplina e capacità fisica, ma secondo me questo non deve diventare un’ossessione o un motivo di sentirsi in dovere di dimostrare la propria bravura. Di darsi tempo di sentire piuttosto che di apparire. La mia idea di benessere è un’altra: è uno stile di vita equilibrato, che sia in linea con i propri bisogni personali, contro a standard di bellezza e ritmi serrati che, invece di invitare le persone ad avvicinarsi allo stare bene, si trasformano in un cancello di perfezione insostenibile e irraggiungibile. 

Nelle mie pratiche cerco sempre di mettere il benessere e l’ascolto al primo posto, motivo per cui ultimamente sto orientando i miei studi verso pratiche più accessibili, che tengano conto del background e delle necessità delle persone che ho davanti, invitandole a sperimentare, ad ascoltarsi, e rivolgendomi a loro con parole che sappiano trasmettere accoglienza e non obbligo, perché anche le parole hanno un peso importante. 

Che cos’è Ease e come è nato questo progetto? 

Ease è una community dedicata al benessere e allo stare bene ed è nata concretamente nel 2021, ma la storia dell’idea che sta dietro a questo progetto è più lunga. Scrivo molto e porto sempre con me un quaderno. L’idea è arrivata così: su un volo dall’Uruguay al Perù, durante il mio viaggio in America Latina, ho iniziato a buttare giù l’idea di una comunità, uno spazio sicuro, dove le persone potessero sentirsi supportare, riconnettersi a se stesse e agli altri, stare bene. Due anni dopo ho trasformato quel seme di idea nel primo retreat, a cui poi ne sono seguiti molti altri. 

Come recita anche la descrizione sul sito, lo scopo di Ease è quello di “riconnettere le persone tramite il potere terapeutico e curativo dello yoga, del movimento, del cibo sano e delle emozioni” 

(https://easecommunity.mailchimpsites.com)

Quando organizzo un retreat, ho sempre in mente questi ingredienti fissi. Ogni ritiro è sempre organizzato in un ambiente naturale e ogni appuntamento ha una tematica differente. Nel creare nuove proposte, cerco di diversificare le attività, tenendo lo yoga e la meditazione come elemento fisso e unendo attività sempre diverse, come il movimento in natura - ad esempio le passeggiate o lo snorkeling - oppure laboratori creativi, come la scrittura o la lavorazione della ceramica. 

Un altro ingrediente importante è sicuramente il gruppo e la connessione che si crea tra chi partecipa: soprattutto se si viene da sol*, può essere anche la possibilità per stringere nuove amicizie, trovando in chi partecipa qualcuno che ha i nostri stessi interessi e con cui poterli condividere. Alcune delle persone che hanno partecipato alle scorse edizioni sono rimaste davvero legate tra loro e nulla può rendermi più felice. 

Immagino ognuno di questi ritiri come una pausa che coloro che vi prendono parte si dedicano, un momento per rallentare e resettarsi, godendo di un’esperienza completa e autentica. Proprio per non cadere nella ‘trappola della performance' cerco di non organizzare le attività con ritmi serrati, dando più importanza al lasciare spazio a chi partecipa. 

Al centro di tutte le attività di Ease, che si tratti di retreat, workshop o attività di una sola giornata, desidero che ci siano ascolto, accoglienza, condivisione e convivialità. Per questo, anche il momento in cui ci ritroviamo insieme a tavola, con davanti un piatto cucinato con amore, materie prime genuine e per ogni esigenza e filosofia alimentare, è molto importante! 

Quali libri consiglieresti ad una persona che vuole approcciarsi allo yoga dalla base? 

Ci sono quattro titoli in particolare che mi sentirei di consigliare a chi vuole approcciarsi allo yoga: 

1. “Nel cuore dello yoga” di T.K.V. Desikachar: si tratta di un compendio del sistema del padre, Sri Tirumulai Krishnamacharya, uno dei più grandi Yogi dell’epoca moderna, e dei suoi principi di approccio allo yoga. Desikachar propone al lettore un programma graduale a ogni livello, fisico, mentale e spirituale per avvicinarsi allo yoga. 

2. “Yoga sutra” di Patanjali: lo yoga è una disciplina che sì è sviluppata nel solco di una tradizione millenaria fondata sulla rivelazione vedica, la cui origine si perde nella notte dei tempi; tale disciplina ci è stata tramandata nel corso dei secoli della forma dello Yoga Sutra, un’opera attribuita a Pantanjali e commentata da grandi maestri del passato come Vyasa, Vacaspati Misra e Vijnana Bhiksu. Questo testo si propone di approfondire, oltre al testo base, questi commentari che hanno un’importanza fondamentale nella comprensione dello Yoga. 

3. “L’albero dello yoga” di B.K.S. Iyengar: si tratta dell’opera di uno dei più validi maestri contemporanei, introduce al mondo dello yoga spiegandone tutti gli aspetti religiosi e filosofici e illustrandone la profonda spiritualità, rammentando però sempre che questa spiritualità affonda le sue radici nella pratica.

4. “The truth of yoga” di Daniel Simpson: Simpson insegna all’Oxford Center for Hindu Studies e questo suo libro è una guida comprensiva dell’evoluzione dello yoga in maniera comprensiva e contemporanea, cercando di rendere la filosofia accessibile e rilevante ai praticanti di oggi. 

Grazie Erica, ci vediamo al prossimo ritiro per praticare insieme!

Images courtesy of Chiara Francesca Rizzuti e Silvia Poropat